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Bene o male, l'importante è che se ne parli (?)

Cringe
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12.12.2025

Il cringe, il nostro nuovo nemico-amico. Quante volte ci siamo cringiati davanti a scene imbarazzanti?

Negli ultimi tempi, mentre cercavo di limitare il mio utilizzo dei social per salvaguardare la mia salute mentale da sovraesposizione di vite e corpi perfetti con cui fare paragoni   - tentativo, tra l'altro, parzialmente fallito - mi è capitato di imbattermi sempre di più in discorsi incentrati sull’importanza di “buttarsi” nelle cose, anche con l’eventualità di fallire. 

Credo che ognuno di noi abbia le proprie problematiche correlate al rischio: il rischio di sentirsi sbagliati, di apparire in un certo modo, di venire fraintesi, di non "buttarsi", di “buttarsi” troppo. Ci sono alcune persone che il rischio lo vivono come un momento di performance estrema, come un momento in cui arrivare pronti e preparati per poter essere reattivi agli imprevisti. Così, da imbastire un lungo processo di preparazione mentale anche solo per decidere di effettuare una qualche attività da soli, come ad esempio sedersi al bar o pranzare in un tavolo occupato solo da sé stessi. E spesso questo è correlato alla possibile idea del giudizio altrui, dell’apparire sbagliati o addirittura “cringe” in alcuni contesti.

Gatto cringiato

C’è chi invece vive il rischio di esporsi per quello che è, mettendosi in gioco sapendo che in gran parte, se non tutta, esiste una buona dose di impreparazione e di improvvisazione. Ecco che quindi il sentimento di imbarazzo, l’essere “cringe” - inteso come ciò che suscita imbarazzo e al tempo stesso disagio in chi lo osserva - non costituisce un problema, ma spesso diventa una forza. Una forza che nel corso del tempo per alcuni è diventata anche la propria fonte di contenuti, evolvendosi in una forma d'intrattenimento di per sé molto apprezzata in rete. Come riporta lo Urban Dictionary, ad esempio, su TikTok si trovano le cosiddette "cringe compilation": brevi montaggi di foto o video imbarazzanti, che riguardano sé stessi, altri o sono tratti da film e serie TV. Paradossalmente, queste compilation spesso suscitano risate e divertimento in chi le guarda, probabilmente perché vengono percepite paradossali: mai ci ficcheremmo in situazioni così imbarazzanti!

L’essere cringe può anche essere associato a personaggi iconici o prodotti cinematografici e televisivi, come Mr. Bean o Michael Scott e colleghi in The Office, in cui il personaggio di Jim è emblematico nelle sue espressioni per far capire come una persona esterni il proprio imbarazzo nell’assistere a scene e comportamenti altrui.

Anche i brand hanno un rapporto controverso col rischio: c’è chi si affida spesso a idee, concept, collaborazioni e narrazioni che non osano, che seguono sempre lo stesso filone che ha funzionato e che funzionerà sempre (o almeno sperano). E ci sono brand che del rischio e del possibile cringe, ne fanno uso, come SKIMS di Kim Kardashian. Pensiamo a quando fu lanciato il reggiseno con capezzolo in rilievo, che suscitò reazioni contrastanti: da una parte era associato a una raccolta fondi per combattere il cambiamento climatico pur essendo parte del problema (in una bella azione di greenwashing), mentre dall’altra risultava utile per quelle donne che avendo subito una mastectomia o interventi al seno non si trovavano più a proprio agio nel proprio corpo -  a fronte comunque di un acquisto della spesa di oltre 80 euro (per non farsi mancare altro, è pure disponibile la versione coi piercing da maggio). 

Oppure prendiamo ad esempio la campagna The ultimate bush. Molto ci sarebbe da dire a riguardo, ma, rimanendo sul tema, la domanda che sorge spontanea è: qual è l’utilità del promuovere un prodotto del genere? Alla vista del video sui social c’è chi ha urlato “geniale!”, chi ha riso, chi si è indignato, chi come me..beh, si è “cringiato”. L’abilità di SKIMS di proporre un vasto assortimento di prodotti validi sul mercato si affianca spesso a scelte di questo tipo, in cui i prodotti rappresentano solo un tramite per far parlare di sé: che sia nel bene o nel male (n.d.a. faccio comunque notare che il perizoma col pelo è andato sold out in poche ore, complice la messa in vendita poco prima di Halloween 2025? Chi lo sa).

In generale però l’essere cringe sembra un fenomeno generazionale che si è diffuso man mano che i social non hanno più rappresentato quello spazio di esposizione e sperimentazione che era per i millennial. Ma sono diventati una vetrina in cui performare, e in cui un contenuto, anche se minuziosamente studiato prima della pubblicazione, deve essere condiviso e diffuso in modo da rispettare tutte le norme sociali implicite: non mostrarsi eccessivamente dispiaciuti o troppo entusiasti, non fare troppi complimenti, non raccontare a caso i fatti propri perché l’ oversharing è cringe, non scadere in sentimentalismi, non vestirsi in un certo modo, non usare determinate espressioni che non sono tue, non sbagliare in una frase creando equivoci, non inciampare e cadere, non attirare troppo l’attenzione. La lista è potenzialmente infinita, ma potrebbe essere racchiusa nella categoria “tutte le brutte figure o i fallimenti che non vorrei fare e che mi imbarazza vedere fare dagli altri”.

Ma cringe sono anche tutti quei contenuti che appaiono troppo studiati, curati, o che appartengono a un’estetica precisa che li rende popolari perché sono “cringe”: pensiamo alle foto dei tramonti con la frase ispirazionale (cringe); le foto in palestra allo specchio flexando i muscoli (cringe) oppure i buongiornissimo con glitter, fiori e caffè (cringe, anche se nascono pagine che ne assimilano l’estetica e la rendono propria).

Perchè il cringe appunto genera due reazioni: la paura, la titubanza, l’astensione a qualsiasi azione o atteggiamento che potrebbe mostraci “ridicoli” o fallaci, oppure genera la reazione opposta, cioè vivere del cringe, sperimentare, esporsi, non curandoci dell’opinione altrui. Uno è un modo di vivere e apparire migliore dell’altro? Non lo so, come sempre la vita non è fatta di 0 e 1 come in un codice binario, ognuno dei due mondi ha limiti e vantaggi, sta a noi decidere quanto vogliamo essere liberi di vivere e comunicare.