Datevi una registrata. Le lezioni della comunicazione della Prima Repubblica agli under 40

Da cosa deriva la fascinazione di un under 40 per le tribune elettorali primo repubblicane e programmi come Mixer? Dall’autorevolezza e dall’ars oratoria dei protagonisti, dai botta e risposta, dalle domande puntuali e dirette. Merci oggi sempre più rare, che un comunicatore della nuova generazione dovrebbe tenere a mente
Sono da poco trascorse le celebrazioni per il quarantennale della morte di Enrico Berlinguer, storico segretario del Partito Comunista Italiano. Colui che, dal 1972 al 1984, ha condotto il Pci in una nuova dimensione politico - culturale, sfiorando la prospettiva di governo con la Democrazia Cristiana (il celebre “Compromesso Storico” teorizzato dallo stesso Berlinguer) e al massimo risultato elettorale della sua storia (il 34.4% nel 1976).
È in questo contesto che ho riscoperto, grazie a Raiplay, una sua storica intervista del 1983 al programma televisivo “Mixer”, condotto da Giovanni Minoli e in onda su Rai 2. Un breve inciso lo merita proprio la trasmissione: in quegli anni “Mixer” è stato un format rivoluzionario, basato su un faccia a faccia incalzante ed estremamente diretto tra il conduttore e l’ospite. Rompeva lo schema ufficiale, formale e un po’ pomposo, tipico delle tribune elettorali e dei programmi politici in genere che la Rai proponeva fino a quel momento: fece scandalo, quando, nel 1978, Marco Pannella ed Emma Bonino, usarono lo spazio a loro disposizione in una tribuna politica, stando in silenzio, imbavagliati per mezz'ora, in protesta contro l’informazione di allora. Gesto tipico della cultura politica radicale, certo, ma che dà il senso dell’insoddisfazione rispetto ad un modo di informare, che iniziava a essere considerato vetusto. Come dimenticare il celebre j’accuse di Franco Battiato che in “Bandiera Bianca” del 1981, definisce “demenziali” i programmi con tribune elettorali (grazie Franco per evitarci la sempre latente tentazione del “si stava meglio quando si stava peggio”).

Bene, da quella famosa intervista di Berlinguer sopracitata, insiema ad altre due interviste, sempre a Mixer, sempre in quello stesso periodo, a Bettino Craxi (segretario del Partito Socialista Italiano dal 1976 al 1993, nonché presidente del Consiglio dal 1983 al 1987) e Giorgio Almirante (storico segretario del Movimento Sociale italiano), emerge un linguaggio, un’autorevolezza, una gravitas, tipici della Prima Repubblica, che da tangentopoli in poi, sono via via scemati (al di là delle zone d'ombra che fanno parte del vissuto politico soprattutto degli ultimi due).
Se avete meno di quarant’anni (come chi vi scrive), riguardare queste interviste non è semplicemente un’operazione nostalgia, ma un'interessantissima analisi socio-antropologica dell’Italia che fu. Colpisce la proprietà di linguaggio, la calma, la sicurezza (quasi ostentata) con cui si proponevano le argomentazioni.
Pur con le ovvie differenze di stile che appartengono a tre caratteri diversi: la timidezza tenera ma fiera di Berlinguer, l’assertività quasi arrogante di Craxi e la solennità provocatoria di Almirante. Ma soprattutto colpisce un dato che sembrerebbe in controtendenza rispetto allo stile comunicativo di allora: tutti e tre i nostri protagonisti politici, seppur imbevuti di quella cultura politica primo repubblicana caratterizzata anche dalla forza dell’ars oratoria, dall’utilizzo di quello che noi oggi chiameremmo linguaggio “politichese” e dall’uso barocco della retorica (famoso in questo senso il record di Almirante, autore di un discorso monstre in Parlamento, di quasi 10 ore consecutive), sembravano perfettamente a loro agio in quel contesto fatto di botta e risposta. A domande precise rispondevano con risposte precise, veloci, dirette, circostanziate. Dritti al punto. D’altronde, come tre saggi contemporanei ci hanno ormai spiegato, si sa: “Il dialogo è fatto di botta e risposta”.

Alzi la mano chi, guardando oggi un qualunque talk show politico, anche in occasione dell’ultima campagna elettorale per le elezioni europee, è mai riuscito a sentire un intervento dell’ospite politico di turno senza che egli fosse interrotto dal presentatore. Lascio a voi decidere se a causa della ridondanza politica o giornalistica.
Allora sapevano, insomma, adattare il proprio registro comunicativo al mezzo utilizzato: in Parlamento e nelle sedi ufficiali si comunica in un modo, in televisione, in quella televisione che iniziava a rivolgersi a una platea che chiedeva meno distanza tra la realtà e la politica, in un altro, più diretto.

Trend, questo, confermato e probabilmente superato dalla “discesa in campo” di Silvio Berlusconi nel 1994, che diede inizio alla Seconda Repubblica. Da allora, nulla sarebbe stato più come prima: già a partire dal termine di ispirazione calcistica con il quale l’ex premier ha comunicato il suo ingresso in politica, si è reso evidente l’intento di semplificare e disintermediare la narrazione politica (emblematico in questo senso il discorso con il quale annunciò la discesa in campo, tenuto a casa sua e trasmesso a reti unificate nei canali Mediaset, gli stessi canali che trasmettevano programmi ormai entrati nella quotidianità degli italiani).
Questa volta, però, non tutti sono stati in grado di adattarsi al cambiamento: è il caso del primo grande dibattito “all’americana” della nostra storia politica, avvenuto tra Berlusconi e Achille Occhetto (allora segretario del Partito democratico della Sinistra e capo della coalizione di centrosinistra) e trasmesso proprio sulle reti Mediaset. In merito a quest’ultimo fu lo stesso Occhetto ad ammettere di aver sostanzialmente perso perché incapace di cambiare il registro comunicativo, adattandolo a un contesto ormai completamente nuovo. Berlusconi appariva come l’homo novus, di successo, affabile, simpatico e diretto. Occhetto troppo ancorato ad un tipo di linguaggio logoro, superato, grigio come il colore della giacca che portava. A riguardarlo oggi, disse molto in quel dibattito, ma sembrava non dicesse niente come il D’Alema di morettiana memoria.
Eccola l’importanza della comunicazione: