America e comunicazione: la fabbrica delle illusioni tra politica e fake news

In un’epoca di polarizzazione estrema, la comunicazione americana si gioca tra verità distorte e narrazioni persuasive, modellando elettori e consumatori in un complesso gioco di fiducia e disillusione. Nell'era della post-verità, le narrazioni politiche e commerciali si intrecciano, trasformando l'elettore e il consumatore in vittime di promesse fragili. Ma autenticità e fiducia ne sono l'antidoto: una lezione valida sia per la comunicazione politica che per le imprese.
In ogni campagna elettorale americana, il confine tra verità e bugia si assottiglia, trasformando il processo democratico in una sorta di negozio affollato, dove l’elettore, come un cliente confuso, cerca di orientarsi tra promesse allettanti e sconti improbabili. La retorica politica, sempre più simile a una strategia di marketing aggressiva, spinge ciascuno a chiedersi: cosa è reale? Cosa è costruito ad arte per il semplice scopo di guadagnare il mio consenso?
Pensiamo alle elezioni americane recenti, una scena vivida dove la polarizzazione sociale ha assunto toni quasi surreali. La "Grande Bugia" della frode elettorale del 2020 e il tumulto che ne è seguito – fino all’assalto a Capitol Hill – mostrano come l’elettore, proprio come un cliente, possa essere travolto da una narrazione ben confezionata. E ancora, ricordiamo anche la teoria secondo cui Barack Obama non fosse nato negli Stati Uniti, una fake news che ha alimentato per anni sospetti e divisioni. E come non citare le affermazioni sull’uso di "pizzagate", che accusava alti funzionari democratici di gestire un racket pedofilo in una pizzeria di Washington. O i più recenti inviti a bere l’amuchina durante il Covid o di guardarsi dagli immigrati perché mangiano i nostri animali domestici. Nonostante la palese infondatezza di queste storie, il potere che hanno esercitato su ampi settori dell’opinione pubblica è stato devastante perché giocano sul bisogno umano di credere in qualcosa.

È l’era della “post verità”: il dibattito non ruota più tanto intorno ai fatti, ma alle emozioni che quei fatti, o presunti tali, riescono a evocare. Come elettori, ci si trova spesso a scegliere non sulla base della verità oggettiva, ma di ciò che risuona con le nostre credenze preesistenti. Intuizione che risale già a Goebbels, secondo cui una bugia ripetuta centinaia di volte con convinzione, diviene, de facto, una verità o comunque inizia ad appartenere al regno del verosimile nella pubblica opinione; le fake news, dunque, non sono altro che un riflesso di un’epoca in cui la verità, frammentata e negoziabile, viene subordinata all’efficacia della narrazione.
Efficacia tanto maggiore quanto maggiore è la sensazione di "espropriazione" della propria identità politica, di smarrimento tipico dell’elettore del nuovo millennio. E allora si cerca rifugio nelle narrazioni di riscatto. È lo stesso fenomeno che si verifica nel mondo dei consumatori, dove i clienti, spesso spinti dalla sensazione di non essere ascoltati, si aggrappano ai marchi che promettono di riportarli in una posizione di privilegio o esclusività. In politica, come nel commercio, la percezione di status conta tanto quanto la verità.
Il parallelismo tra elettore e cliente diventa ancora più chiaro quando analizziamo il concetto di fiducia. Una volta che l’illusione si rompe, che sia per un prodotto difettoso o una promessa elettorale infranta, recuperare quella fiducia diventa un’impresa titanica.
Gli Stati Uniti hanno mostrato come una narrazione ripetuta – anche quando smentita – possa consolidarsi nelle menti di milioni di persone. Il senso di "espropriazione" che aleggia tra molti elettori, che si sentono abbandonati dalle istituzioni e dai partiti, non è poi così diverso dal senso di tradimento che un cliente prova di fronte a un brand che non ha mantenuto le sue promesse.

In entrambi i casi, la polarizzazione gioca un ruolo chiave. Le divisioni politiche, come quelle che spaccano la società americana, sono l'equivalente delle polarizzazioni commerciali: da un lato il marchio che rappresenta l'innovazione, dall'altro quello che difende la tradizione. Ma cosa succede quando queste narrative diventano troppo rigide? Nel contesto americano, la radicalizzazione politica ha impedito un vero dialogo, esacerbando la distanza tra le parti e rendendo impossibile ogni compromesso. Lo stesso accade nel marketing: un brand troppo schierato può alienare una parte del pubblico, mentre uno che sa essere inclusivo e aperto riesce a coinvolgere anche i più scettici.

Quindi, cosa possono imparare le aziende dalla politica americana?
Prima di tutto, l’importanza di non sottovalutare mai il potere della trasparenza. Quando un politico o un marchio decide di giocare con la verità, il rischio di perdere credibilità è enorme. Le storie che raccontiamo devono essere ancorate a un senso di autenticità e rispetto per chi ci ascolta.
Ma c'è di più. Le imprese devono capire che, come in politica, il loro pubblico non è mai un blocco monolitico. C’è sempre una varietà di voci, di bisogni e di aspirazioni da soddisfare. Chi riesce a far sentire ognuno ascoltato e valorizzato, come fa un bravo politico con il proprio elettorato, ha il potenziale di creare un legame duraturo e autentico.
Alla fine, quello che accade oggi negli Stati Uniti ci offre una lezione chiara: vendere una bugia è facile, ma il prezzo da pagare è alto, sia in politica che negli affari. Il cliente, come l’elettore, sa riconoscere quando qualcosa non quadra, e la delusione può trasformarsi in una frattura insanabile. Rispetto, autenticità e dialogo sono le chiavi per non cadere nella trappola della polarizzazione e costruire una relazione solida, sia con il proprio elettorato che con la propria clientela.