Lavorare non stanca: siamo noi che ci stanchiamo con il lavoro

In una società dominata dalla cultura del successo, facciamo sempre più fatica a trovare le energie per rispondere a richieste e stimoli da cui siamo travolti ogni giorno. Per superare questo stallo occorre tornare a sorprenderci del destino, a investire in persone o attività che ci facciano arrivare alla sera stanchi, ma con il sorriso
Nelle nostre ultime pause pranzo, sono state tante le occasioni in cui è emersa la parola stanchezza, declinata in tutte le sue forme. "Sono stanchissima" "Oggi, esausto!" "Sfi - ni - to". È nell'etimologia della parola lavoro che si radica la stanchezza. “Lavoro” e “labour” derivano dal latino labor che significava “pena”. Quindi, tenuto conto di questo comune denominatore con cui dobbiamo imparare a convivere, ci siamo chiesti: esiste una stanchezza positiva, buona?
Mentre chiacchieravamo sul tema, tornavano in mente quelle sere in cui ci si addormentava con il sorriso dopo aver passato la giornata a fare qualcosa di faticoso ma bello. Enrico ricorda come se fosse ieri quando (ormai più di 20 anni fa) andava la domenica in campagna con papà e la sera era uno straccio, felice di aver piantato le verdure nell’orto, dato l'acqua agli agrumi, accatastato un po’ di legna.
Paola, invece, racconta di quei weekend in cui le capita di stare con le sue due nipotine: bellissimo, per carità, ma sappiamo tutti quanto sia faticoso star dietro a due bimbe che hanno il fuoco dentro. La sera va a letto stanca (avrebbe più che altro bisogno di un sarcofago) ma con i ricordi felici di una giornata che non dimenticherà per tutta la vita.
Ritornati alla realtà dopo esserci persi nei sentieri dei ricordi, abbiamo cominciato a cercare una risposta alla domanda relativa al se esista veramente questa differenza tra gradi e tipologia di stanchezze, o se sia soltanto una nostra teoria. Bene, qualcun altro aveva già pensato a qualcosa che viene definito come “stanchezza positiva”, che però indica esattamente il contrario di ciò che sembra: una stanchezza dovuta a un eccesso di stimoli esterni o auto-indotti, e non alla perdita di forza e vigore dovuta al lavoro e allo sforzo fisico.
La stanchezza positiva è al centro di “La società della stanchezza” di Byung-Chul Han, filosofo e docente sudcoreano che insegna teoria della cultura all'Universität der Künste di Berlino.

Nel suo libro, Han descrive una società dominata dalla positività, dalla performance e dalla competizione costante, dove l'individuo è sollecitato a essere produttivo e a superare i propri limiti. Questa incessante spinta al successo e alla realizzazione personale, secondo l'autore, porta a un esaurimento psicologico e a una diffusa sensazione di stanchezza, appunto.
Nel mondo contemporaneo, la maggior parte di noi è vittima di questa stanchezza malsana dovuta a una valutazione delle persone sulla base delle performance anziché su ciò che sono, a uno sfruttamento auto-imposto per raggiungere obiettivi che la società ci impone.
In questa continua corsa per il successo, si perdono di vista i bisogni personali, i desideri, le emozioni negative che, se covate, “avvelenano” dall’interno (ogni tanto un vaffanculo liberatorio è meglio di una tisana mentre ci si dice “mantieni la calma, e vai avanti!”).
L’autore sudcoreano realizza una critica alla società contemporanea, a noi, invitandoci a riflettere sul nostro rapporto con il lavoro, che spesso risulta malato e rischia di occultare il nostro tempo umano e la nostra identità.
Come dice lo scrittore Alessandro D’Avenia, «nel mondo contemporaneo abbiamo sostituito il destino (quello mitologico ed epico degli antichi greci) con la carriera».
Che differenza c’è tra le due cose?
«Mentre il destino riguarda qualche cosa che è stato deciso nel passato [...] oggi è l'idea di carriera che fa il nostro destino. Tu devi entrare dentro qualche cosa che ti garantirà un destino felice - che non può essere meno che il successo - e questo innesta nel cuore e nella mente l'ansia. Sei obbligato a rispettare un copione, e lo devi rispettare "di gran carriera”».
E questo stanca. Forse, per sfuggire a quella stanchezza positiva che rischia di appiattirci come persone trasformandoci in meri ingranaggi del mercato, dobbiamo invertire la rotta, tornare a vivere il destino, cercare nutrimento per la crescita personale e non agire solo ed esclusivamente per raggiungere obiettivi di business. Dobbiamo promuovere quelle attività che ci permettono di essere stanchi con il sorriso, felici di aver fatto qualcosa di buono per noi stessi, senza alcun fine economico-lavorativo.
Entrando nel vivo della conversazione, noi che ci sentivamo estranei a tutti questi meccanismi, ci siamo resi conto in realtà di quanto siamo stanchi, eccessivamente stanchi, molto spesso non per l’aver fatto troppo, ma perché abbiamo fatto troppo poco le cose che ci piacciono e che ci fanno stare bene. Ci sentiamo di dare un consiglio non richiesto a tutti coloro che leggeranno queste parole: «Strappiamo il destino dalle prevedibili mani del business e offriamolo alle dita ignote delle Parche, godendoci quello che verrà con sorpresa».