Cosa insegna alle aziende la sfida tra Trump e Harris

Andare a caccia di voti richiede modalità che non sono molto diverse da quelle che si mettono in campo quando si punta a intercettare nuovi clienti o a parlare a una vasta gamma di stakeholder. I candidati, come le aziende e le istituzioni, devono partire da un solido lavoro sulla propria identity, aver ben chiari valori, mission e KPI, e poi comunicarli in modo da poter costruire un patrimonio reputazionale che si traduca in preferenze elettorali.
Che cosa ci ha insegnato quindi la campagna presidenziale americana del 2024, la sfida tra Donald Trump e Kamala Harris (e prima di lei Joe Biden)?
C’era molta attesa per le novità, non sempre positive, che sarebbero potute emergere quest’anno con l’arrivo dell’intelligenza artificiale generativa. Soprattutto c’era il timore di una comunicazione politica all’insegna dei deep fake. Non è andata così e l’AI non è stata tra i protagonisti della corsa alla Casa Bianca. Invece sono riemerse, potenziate e aggiornate, una serie di modalità comunicative tutto sommato tradizionali. È abbastanza sorprendente, per esempio, accorgersi che newsletter e direct mailing sono stati decisivi nella campagna 2024.
Andiamo con ordine. Innanzitutto, vale la pena ricordare brevemente quali e quante innovazioni sono state introdotte nelle attività di comunicazione dalla politica americana ed anglosassone negli ultimi trent’anni, quelli della rivoluzione digitale.

La corsa alla Casa Bianca del 1996, per esempio, fu il momento del decollo di Internet (con Al Gore, allora vicepresidente, che si attribuì il merito di averlo “inventato”), in un momento in cui i computer erano ancora dominati da Windows e dalla Microsoft di Bill Gates. Si capì in quel momento che il web era una nuova arena politica e quindi di comunicazione, da riempire di contenuti creativi come quelli che per esempio in quegli anni arrivavano dalla Cool Britannia di Tony Blair e del nuovo Labour.
A cavallo del nuovo secolo, nelle elezioni del 2000, arrivò in realtà un colpo di reni e una rivincita da parte della “vecchia” tv, che tornava a dominare tutto con le all-news di CNN e della neonata FoxNews, ma nello stesso tempo si fondeva con il web come nel caso di MSNBC, frutto del matrimonio tra Microsoft e uno dei principali network americani. Alle elezioni del 2004, caratterizzate dallo scontro sulla guerra in Iraq, la grande novità furono i documentari-verità diffusi sulle tv, ma anche in rete: il più celebre era “Fahrenheit 9/11” del regista Michael Moore.
Fu subito dopo quel voto che esplose il fenomeno dei social media, con Facebook, Twitter e YouTube che rappresentarono la grande novità delle elezioni 2008, quelle del trionfo di Barack Obama, arrivato anche grazie alla capacità di sfruttare il potenziale dei nuovi luoghi della rete dove costruire comunità. Quattro anni dopo, nel voto che confermò Obama alla Casa Bianca, la potenza delle piattaforme social si unì al nuovo giornalismo di realtà come Buzzfeed: era l’epoca delle “liste” (“Le 10 cose che non sai sul candidato X”), copiate ben presto anche dalla comunicazione commerciale e corporate.
Lo scontro elettorale tra Hillary Clinton e Donald Trump del 2016 fu invece il momento in cui emersero le criticità del nuovo ecosistema digitale, con il caso Cambridge Analytica/Facebook e con la diffusione delle mail della Clinton da parte di Wikileaks. Il web non era più “friendly” come sembrava negli anni precedenti e anche il mondo della comunicazione imprenditoriale avviò nuove riflessioni su come proteggere i brand sulla rete. Le elezioni del 2020, infine, sono state caratterizzate dalla pandemia e i lockdown, ma hanno segnato anche il decollo della comunicazione “a distanza”, delle videocall e della necessità da parte del mondo del business di puntare sul purpose e fare in qualche modo da supplente, di fronte alla crisi di fiducia nelle istituzioni e nei media tradizionali.

Che cosa resterà adesso delle elezioni americane 2024, sul piano della comunicazione?
Innanzitutto la conferma che così come “all politics is local” – un mantra della politica americana – anche tutta la comunicazione alla fine si basa sul conoscere bene i propri destinatari e stakeholder, fino a poterli raggiungere uno per uno con messaggi mirati. Gli ultimi mesi della corsa alla Casa Bianca si sono concentrati solo su sette dei cinquanta stati degli Usa, quelli in bilico e conquistabili da uno o dall’altro candidato. Il che significa che da mesi la comunicazione politica è mirata a meno del 20 per cento della popolazione americana e nelle ultimissime settimane a numeri ancora più piccoli, in 15-20 contee - nei sette stati - che risultano quelle che possono decidere tutto.
Centinaia di milioni di dollari sono stati investiti in spot tv e sui social avendo come target queste popolazioni, che nello stesso tempo sono “bombardate” da campagne OOH (out-of-home), da volantini distribuiti dovunque e anche da volontari che vanno a bussare di porta in porta. Questo è uno dei motivi reali per cui su ogni prato davanti alle case dei sobborghi americani c’è il cartello con il nome del candidato che si vuole sostenere: non è solo per fargli pubblicità, ma anche per dire ai volontari della parte avversa che è inutile venire a bussare alla porta.



Ma il vero scontro è stato su uno spazio digitale che non è cambiato molto dai tempi della campagna di Clinton del 1996: quello delle caselle di posta elettronica. Trump ha investito moltissimo nella direct mail, inondando gli americani di continui attacchi all’avversaria costruiti con cura e in modo sofisticato. La Harris ha usato altrettanto la mail, ma soprattutto per chiedere soldi, a ritmo continuo, 24 ore al giorno, per costruire una campagna elettorale che partiva svantaggiata essendo ricominciata il 21 luglio, al momento del ritiro di Biden.
Forse, però, la maggiore novità del 2024 è il ritorno delle newsletter, soprattutto per quello che riguarda la copertura giornalistica della sfida per la Casa Bianca. A dettare l’agenda politica della giornata sono state, per tutta la campagna, in particolare alcune newsletter e alcuni podcast all’alba. Politico, Axios, Semafor, Notus e il Washington Post sono alcune delle testate che hanno dominato il dibattito attraverso le loro newsletter, insieme ai podcast del New York Times. Ed è stato questo “gruppo di fuoco” che ha creato a luglio un livello di pressione tale su Joe Biden da farlo ritirare dalla corsa. Se i network televisivi sono rimasti centrali soprattutto per i dibattiti e le convention, e i social sono rimasti la piattaforma principale per rilanciare i vari frammenti della campagna (brevi video dei comizi, spezzoni delle gaffe dell’avversario nelle interviste tv), sono state le newsletter a incidere maggiormente nella conversazione politica della campagna di quest’anno.
Cosa può suggerire questo alle aziende?
Che per portare il loro messaggio agli stakeholder che si vogliono raggiungere, anche nel 2024 non vanno sottovalutati gli strumenti digitali più solidi, costruiti in questi trent’anni di rivoluzione digitale: i siti web (che restano il cuore della narrazione e il “deposito” dei contenuti da diffondere sulle altre piattaforme) e le vecchie newsletter, ripensate e ridisegnate per tenere il passo con i tempi che viviamo.