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Enrico Longo
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Motore, Ciak, Azione, Murphy!

11.07.2025

Pianificazione e improvvisazione sono due facce della stessa medaglia appesa al collo di ognuno di noi. Chi più chi meno si trova a convivere con queste due anime che lavorano insieme per permetterci di dare vita a qualcosa di nuovo.

Ci sono quei viaggiatori che non mettono piede fuori di casa senza aver programmato minuto per minuto l’intera vacanza, magari con un bel excel su base oraria a portata di mano, pieno di date, luoghi, prenotazioni, mappe.

E poi ci sono quei viaggiatori che, arrivati in aeroporto, conoscono a malapena la destinazione, non hanno idea di dove dirigersi una volta arrivati, non sanno quale sia il cibo tipico o quali siano i più bei musei da visitare.

Possiamo considerarli due facce della stessa medaglia, perché alla fine il viaggio lo fanno entrambi, alla fine tornano (quasi sempre) entrambi a casa, alla fine entrambi hanno ricordi indelebili che porteranno per sempre con sé.

Ma è ovvio che questi “archetipi” non si applicano solo agli amanti del viaggio. Li troviamo ovunque: in cucina, nella musica, nel lavoro e nel cinema. È una divisione umana tra chi ha un’estrema necessità di programmare qualsiasi cosa, e chi, al contrario, si fida dell’istinto, segue il vento, va a braccio.

Nel nostro lavoro ci troviamo ad avere a che fare, un po’ come la prima tipologia di viaggiatori, con diagrammi di Gantt pieni di deadline, processi, attività. Utilissimi, per carità, se non fosse che nel 90% dei casi c’è sempre un imprevisto, un ritardo, una mano distruttiva invisibile che rende inutili tutti gli sforzi di programmazione e ci costringe a improvvisare, a trovare soluzioni alternative che inizialmente non avevamo immaginato.

In questo modo così particolare che ha la casualità di far saltare tutti i piani, troviamo una grande affinità con il mondo del cinema (in fin dei conti anche noi siamo registi dei nostri progetti). E i registi del grande e piccolo schermo esulano da quella dualità umana di cui abbiamo accennato all’inizio di questo articolo? Assolutamente no.

Prendiamo ad esempio Sylvester Stallone, che al suo esordio da regista e attore protagonista con il pluripremiato Rocky si trova a fronteggiare un problema difficile da sormontare per un regista al primo film: un budget bassissimo. Ed è qui che entra in gioco l’improvvisazione, la co-autrice di un film che è diventato un cult sin da subito. Oltre a riprese fatte al limite della legalità, senza aver chiesto o pagato i permessi per le scene all’aperto, a Rocky dobbiamo una vera e propria rivoluzione per il mondo del cinema: la steadycam. Progettata dall’operatore Garrett Brown e diventata iconica grazie alla scena in cui Sly si allena correndo sulle scale diventate poi un simbolo di Philadelphia. Per evitare di utilizzare un dolly, ben più costoso, hanno deciso di cambiare per sempre il modo di fare le riprese in movimento.

Ridley Scott è un altro personaggio che fa di un problema il punto di forza del suo intramontabile Blade Runner. Anche qui, strano a dirsi, il problema è il budget: troppo basso per poter realizzare la Los Angeles distopica che fa da cornice allo scontro fisico e di ideali tra Harrison Ford e Rutger Hauer, rispettivamente interpreti di protagonista e antagonista della storia. Ma non solo. Ricreare da zero una città come Los Angeles è impensabile senza l’aiuto di tecnologie più recenti come la CGI. Ed è qui che nasce il colpo di genio che rende intramontabile l’atmosfera di Blade Runner. “Non abbiamo la città? Bene, ci metteremo la pioggia.”

È proprio grazie alla pioggia che, in tantissimi casi, riescono a fare a meno di una vera città sullo sfondo. Un’altra tecnica utilizzata per rappresentare la Los Angeles distopica è quella del matte painting. La città veniva dipinta direttamente su lastre di vetro poi applicate sulla pellicola, rendendo le scene incredibilmente suggestive con un costo ridotto.

Attenzione però, anche tra i registi ci sono quelli che non mettono piede fuori di casa senza un foglio excel a fargli da guida. Basti pensare a Peter Jackson, che per girare la trilogia de Il Signore degli Anelli ha dovuto, insieme alla crew, programmare con anni di anticipo tutto, veramente tutto. A tal punto da aprire degli studi di produzione per le “miniature” del film direttamente in Nuova Zelanda, dove vennero girati i film.

Un altro che ha dovuto fare i conti con la programmazione maniacale è George Miller per il suo Mad Max: Fury Road. Con scene così complesse, veloci, colme di attori, comparse, stunt, è stato necessario calcolare ogni singolo movimento al millimetro, ogni scena, ogni istante. Il risultato è una sequenza di movimenti crudi e spettacolari che immergono lo spettatore in scene d’inseguimento “reali”, realizzate senza o con pochissimo ausilio di CGI. Con una accurata preparazione, le persone sul set si muovono come metronomi all’unisono, grazie ai quali suona una sinfonia di immagini in movimento. Una festa per gli occhi.

Torniamo a noi. Nonostante sia poetico lasciarsi ispirare dal caso, per progetti complessi è spesso necessario affidarsi all’estrema programmazione dei processi e delle risorse. Ma anche nelle previsioni e programmazioni più accurate, capita di dover scendere a patti con imprevisti di ogni sorta. La legge di Murphy è una “legge” non a caso. Qualsiasi cosa possa andare storta andrà storta, e non c’è foglio excel che tenga. Per questo nel nostro lavoro, dobbiamo sempre avere due anime, quella estremamente razionale e dedita alla pianificazione, e quella creativa che ci permette di improvvisare e trovare soluzioni innovative per aggirare gli ostacoli, per aggirare Murphy (fatta la legge, trovato l’inganno).

Tra le due fazioni di cui abbiamo parlato nessuna vince, eppure nessuna perde, nessuna ha ragione, eppure nessuna ha torto. Entrambe hanno peculiarità utili a portare avanti un’idea o un progetto. Entrambe sono espressione di ognuno di noi, e lavorano all’unisono, non solo sul lavoro, ma nel quotidiano.