Eroi e poltroncine di velluto
Tutte (o quasi) le storie seguono una struttura definita. È a quest’ultima che dobbiamo quella sensazione di comfort che ci porta ad appassionarci così tanto alle narrazioni. Le sentiamo nostre anche perché, in fondo, quel viaggio dell’eroe che le rende iconiche è in ciascuno di noi
È il 1992 quando Christopher Vogler, sceneggiatore hollywoodiano, pubblica la sua opera “Il viaggio dell’eroe”, che approfondisce la struttura del mito. Ma più che scriverla possiamo dire che la scopre. Nel suo libro, infatti, Vogler ricerca il Filo di Arianna che accomuna tutte le favole eroiche della storia. Tutte le storie (o almeno la maggior parte) seguono un copione già scritto con personaggi che hanno ruoli ben precisi, maschere che vengono indossate in quanto tali.
Una ricerca simile era già stata fatta dallo storico Joseph Campbell 40 anni prima. Se mettiamo insieme tutti i miti, le leggende e le favole da diverse parti del mondo, cosa scopriamo? Ebbene sì, tutte hanno una struttura di base comune, voluta o non voluta che sia. Una struttura che regala all’essere umano una gradevole sensazione di comfort, come quella che si prova guardando una puntata del Tenente Colombo, dove lo spettatore conosce già l’assassino e si limita a seguire il protagonista nella sua ricerca. Manca il mordente, vero, ma è confortevole.
Ciò non significa che in quei thriller, film o libri, dove il villain di turno viene alla luce solo ai titoli di coda la struttura di base venga meno. La ritroviamo anche qui, anche quando lo spettatore resta sulle spine e la sensazione di comfort è solo un ricordo.
Atto I
Parafrasando Boris so che ti stai chiedendo: «Ma sta struttura che è? È veramente una struttura? Si può toccare? Regge?». La struttura regge eccome, e ti dirò, leggendo una storia con più attenzione ti sembrerà quasi di scorgerla tra una parola e l’altra per formare un disegno ben preciso. Cerchiamo però di capire, per affinare la vista, quali sono i punti cardine del viaggio dell’eroe di Vogler.
Innanzitutto i personaggi: lo sceneggiatore individua 7 maschere che ricoprono altrettanti ruoli, dall’eroe al mentore fino all’antagonista. E dove vivono, si muovono, interagiscono questi “magnifici 7”? In una grande scenografia che funge da sfondo per 3 atti che portano il lettore o lo spettatore a viaggiare in un ottovolante di picchi e canyon di suspense, scene cruciali e ombre che si allungano sullo sfondo.
Ma la domanda che ti pongo è un’altra. Questo fantomatico “viaggio dell’eroe” è frutto di un moto creativo o è un derivato della vita stessa?
A guardar bene, questa struttura potrebbe avere una natura derivativa. Se pensiamo, infatti, alle storie vere ci accorgiamo che la vita in sé è un viaggio dell’eroe, dove ognuno di noi è l’eroe che si trova ad affrontare ostacoli, pericoli e vittorie (chi più chi meno).
Me ne sono personalmente reso conto a teatro, con Federico Buffa e il suo spettacolo “La milonga del fútbol”. Un racconto magistrale sulla storia del calcio argentino attraverso 3 personaggi: Renato Cesarini, Omar Sivori e “el pibe de oro”, Diego Armando Maradona.
Tre storie, collegate da un fil rouge sottile, che senza alcuno sforzo rientrano nella fantomatica struttura di Vogler. Come dicevamo prima, la vita stessa è un viaggio dell’eroe, ed è proprio per questo che le storie ci appassionano così tanto. Perché sono lo specchio della realtà.
Io, ad esempio, non seguo il calcio. È un argomento che non mi appassiona, non attira la mia attenzione. Non mi piace! Eppure, dopo un’ora e quaranta in quel teatro mi sono detto: «Perché è finito così presto? Non potrebbe durare un’altra ora e quaranta?». E su una poltroncina di velluto rosso ho realizzato una cosa importante. Non mi piace il calcio, ma le storie sul calcio mi fanno impazzire. Un po’ come quando mio padre, da ragazzino, mi raccontava le “gesta eroiche” di Johan Cruijff e della sua Arancia Meccanica. Restavo ore ad ascoltarlo, senza alcuna passione per il calcio, ma con l’amore per le storie che mi accompagna ancora oggi.
Se sei arrivato a leggere fin qui, l’eroe di questa storia sei proprio tu. Che coraggio! Che tempra!
Atto II
Ti starai chiedendo: «Ma perché su un magazine come Cipolla, che racconta la narrazione strategica d’impresa, mi trovo a leggere di uno che è andato a teatro e che ascoltava le storie del padre su un campione olandese degli anni ‘70?” Perché mi sono chiesto, anche i brand comunicano seguendo il viaggio dell’eroe di Vogler? Se sì, anche le imprese, prima e meglio di me hanno compreso quanto le storie di sport siano più importanti dello sport in sé?
Sì, sì e poi ancora sì!
Prendiamo ad esempio Adidas e Nike, per vicinanza con gli sport e per l’incredibile competenza nel cogliere l’importanza delle storie. Più importanti di qualsiasi palmarès (per tornare a mio padre, l’Arancia Meccanica di Cruijff non ha mai vinto un Mondiale o un Europeo).
I pugni alzati da Tommie Smith e John Carlos - per invocare maggiore tutela dei diritti umani sul podio della finale dei 200 metri piani di Messico ‘68 - non sono forse più importanti, più memorabili dei centesimi di secondo sul tabellone?
Sembra ieri ma sono passati quasi vent’anni da quando Adidas conquistò il mondo con uno spot che ha fatto la storia della narrazione sportiva. Indovina? In poco più di un minuto racchiude il viaggio dell’eroe in tutta la sua essenza.
Lionel Messi, all’epoca ventenne, racconta la propria storia al mondo con un semplice disegnino. Probabilmente se l’avesse disegnato con i piedi fatati che si ritrova lo avrebbe fatto meglio, sì, ma non è questo il punto. Il punto è che l’eroe della storia è ovviamente il calciatore argentino, la prova centrale è la disfunzione ormonale che gli viene diagnosticata a 11 anni e che lo rende più minuto rispetto agli altri. L’antagonista è il mondo intorno, troppo grande per un ragazzino che fa fatica a crescere. Il mentore è la presa di coscienza che in un mondo così grande, essere piccoli e agili può essere anche un vantaggio (pensa ai piccoli mammiferi al tempo dei dinosauri). Lo strumento magico? Il piede sinistro che gli permette di rendere possibile l’impossibile.
In fondo è “solo” un calciatore, che ne sa lui di un libro scritto nel ‘92 da uno sceneggiatore di Hollywood? Eppure a modo suo è il protagonista di quel libro.
Adidas ha fatto molto più che assumere un testimonial, ha reso la storia di Lionel Messi la storia del brand. Quel “Impossible is nothing” che tutti conosciamo prende forma nei 169 centimetri dell’argentino. Adidas apre gli occhi al mondo su quanto tutti possiamo essere eroi della nostra storia, su quanto un calciatore, forte che sia, abbia una storia simile a tutte le altre. E la cosa ci conforta, ci spinge a superare la prova e a guardare l’antagonista con un sorriso beffardo.
Anche Nike se la cava bene con le storie, ma spesso lo fa dal punto di vista opposto rispetto a quello del sopracitato competitor. Con la campagna Find your greatness, l’azienda fondata da Phil Knight ribalta la prospettiva: non partiamo dai grandi campioni ma da chi è campione a modo suo, nel suo mondo. «La grandezza non è un raro filamento di DNA, non è una cosa rara e preziosa, non è più unica per noi di quanto lo sia respirare. Ne siamo tutti capaci. Tutti noi!».
Nike, Find your greatness
«Greatness is not some rare DNA strand, is not some precious thing, is no more unique to us than breathing. We’re all capable of it. All of us!»
L’eroe è in ognuno di noi, non perché sia genetica, ma perché ognuno in fondo ha qualcosa dentro di sé da offrire al mondo. E non è necessaria una maglia importante, una bandiera famosa per essere grandi, basta esserlo. Come dice il famoso claim di Nike: Just do it!
La narrazione di Nike passa proprio da quella comfort zone narrativa che ci fa sentire in pace con noi stessi, e raccontando le storie di perfetti sconosciuti ci spinge a fare del nostro meglio, a dare il massimo per renderci grandi ai nostri occhi, non a quelli degli altri.
Frame dopo frame, nonostante il voice over sardonico, provocatorio, in ogni storia possiamo ritrovare le caratteristiche chiave del mito, della favola, del superamento degli ostacoli grazie alla forza dell’eroe e allo strumento magico che, questa volta, va ricercato nella volontà interiore dei protagonisti.
Atto III
Sia Nike che Adidas hanno un approccio al mondo dello sport che molto spesso si distacca dal risultato e si concentra sulla storia che porta a quel risultato, che non è poi così importante. Il percorso, il viaggio, il viaggio dell’eroe, quello sì che fa la differenza.
Perciò, se sei sul divano a guardare le schiacciate di Michael Jordan, gli scatti di Eddy Merckx, o le imprese di Jannik Sinner, pensando che non riusciresti mai a fare qualcosa di simile, allora alza il culo e Just do it, perché Impossible is nothing.
Mio padre me lo dice sempre che era bravo a calcio, sarebbe potuto diventare anche lui come Cruijff…però poi…sai…beh…
Da quelle poltroncine in velluto rosso ho capito un’altra cosa importante: mio padre, per me, è Cruijff perché, come tutti noi, è l’eroe della propria storia.