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Redazione
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Podcast e stelle dello sport: un nuovo modo di raccontare gli atleti

22.07.2025

Dalle stelle al microfono: anche i grandi dello sport cedono al fascino del podcasting, raccontandosi in prima persona e mostrando un lato più autentico e umano, lontano dall’immagine inaccessibile di un tempo.

Alla fine hanno ceduto anche loro. Anche le stelle dello sport sono stati contagiati dalla podcast mania. Coloro che per anni, salvo pochissime eccezioni, hanno costruito la propria immagine pubblica su concetti come imperscrutabilità, mistero, quasi superiorità rispetto a noi comuni mortali, non hanno resistito al fascino ( e ai guadagni) garantiti dall’indossare cuffia e microfono e raccontare in prima persona il loro mondo al pubblico.

Il più famoso è certamente Mind The Game, il contenitore lanciato nel marzo 2024 da LeBron James, autentica icona dello sport globale e volto dell’Nba degli ultimi vent’anni. Nelle puntate settimanali, James fa coppia con un altro grande nome del basket Usa (nella prima stagione era JJ Redick, ora è Steve Nash) e insieme le discussioni su quanto accade in Nba e sulla vita di un giocatore a 360 gradi. Il tono e i ritmi sono rilassati, LeBron abbandona le vesti da semidio di cui spesso tende a vestirsi, si apre come se si trattasse di un dialogo tra amici o dentro lo spogliatoio. E il pubblico apprezza: la prima stagione, di media, solo su Youtube ha fatto registrare circa 1.5 milioni di visualizzazioni a puntata.


Proprio l’Nba è il mercato dove i podcast vanno per la maggiore. Oltre a Mind The Game, vanno citati Run It Back, di Chandler Parsons e Lou Williams, partito nel lontano 2015, ma anche quelli di Paul George e Draymond Green, altre due star.

Come spesso accade, ciò che avviene dall’altra parte dell’oceano contagia anche l’Europa. Nel basket nostrano l’esperimento meglio riuscito è certamente Afternoon, il podcast lanciato da Nicolò Melli e Gigi Datome durante il ritiro della Nazionale italiana di Basket in preparazione dei mondiali 2023, e poi replicato anche nel 2024. Il podcast sfrutta la scioltezza e la simpatia dei due per raccontare dall’interno curiosità, sensazioni e dinamiche con un gruppo squadra vive durante la fase di preparazione per una grande competizione. Il format è di quelli classici: introduzione dei due host e poi presentazione dell’ospite di turno. Il risultato è un prodotto godibilissimo, in cui i due campioni dimostrano una conoscenza e connessione con il mondo molto lontana dallo stereotipo dello sportivo ignorante e concentrato solo sull’allenamento.

Una tendenza degli atleti a raccontarsi in un modo nuovo che non abbraccia solo i podcast.  The Last Dance, il documentario di Netflix sui Chicago Bulls di Michael Jordan, ha aperto la strada, la serie All or Nothing di Prime Video o Drive to Survive sulla Formula Uno ne sono eredi diretti: catturando con le telecamere momenti come il dietro le quinte, la sensazione che arriva allo spettatore è quella di assistere a qualcosa di vero, non filtrato. Una sensazione, appunto, visto che tutto ciò che viene trasmesso è soggetto all’approvazione degli interessati, ma che, in ogni caso, il pubblico apprezza moltissimo.

Stiamo assistendo, insomma, a una trasformazione del modo di fare personal branding dei grandi dello sport. Tra i primi a intuire il potenziale di tale approccio fu The Players’ Tribune, il portale nato nel 2014 in cui sono gli stessi atleti a raccontarsi e aprirsi al pubblico, con le loro fragilità e le loro incertezze. “È stato subito chiaro che per gli atleti c’è un desiderio profondo di essere compresi a un livello più personale” ha raccontato l’Editor-in-Chief di The Players’Tribune Sean Conboy in un’intervista concessa a Rivista Undici qualche tempo fa.

Insomma, grazie a contenuti disintermediati ci appaiono più “umani”, dei campioni della porta accanto che vivono e guardano, come noi, al mondo con occhio critico. Come fanno le persone.