Bea Media Company S.r.l.
Viale Francesco Restelli 1, 20124 Milano
Piazza di S. Bernardo, 106, 00187 Roma
P. IVA 11562050960 - SDI T9K4ZHO

Eleonora Bufoli
/
4 min read

La pubblicità, cantastorie di cui non sapevamo di aver bisogno

cartellone pubblicitario Nike
PUBBLICATO
12.02.2024
TEMI

Da Woody Allen per Telecom Italia fino al binomio pesca/noce con cui Rudi Rosenberg ha raccontato Esselunga. Spaccati di come la pubblicità negli anni abbia abbandonato il modello-vetrina di prodotti commerciali, alla ricerca della realtà più intima dell’esperienza umana

C’era una volta. L’incipit più celebre di sempre, intimo e allo stesso tempo universale. Parole che, non appena sprofondata la testa nel cuscino, ci trasportano in mondi lontani, solleticano l’immaginazione e alimentano la capacità umana, troppo umana di fantasticare. Queste sensazioni riflettono il bisogno atavico dell’essere umano di creare o ascoltare racconti e storie. Dai miti, con un pullulare di eroi inarrivabili ma scalfiti da sentimenti umani, alle storie affidate al potere creativo del racconto orale, trasmesso dagli antichi cantori alla saggezza popolare, fino al racconto che salva la vita, nelle mille e una notte di un oriente che non è poi così lontano. 

Abbiamo sempre bisogno di storie, di immedesimarci in personaggi che sono in cerca di nuova vita, più che di autore. Questa esigenza continua a esser presente, nell’era che invita a cogliere l’attimo, un secondo prima che venga inglobato nella velocità del cambiamento. Il bisogno rimane e può essere espresso anche da una forma di racconto più vicina a esigenze prosaiche e commerciali: la pubblicità. 

Gli spot diventano storie all’interno di piccoli schermi, sono un’occasione per presentare un prodotto e allo stesso tempo per entrare nelle vite degli spettatori. Dimentichiamo sorrisi stampati su volti di attori e improbabili scenografie con illuminazioni paradisiache. Oggi la tendenza è quella di rappresentare la realtà, con tutta la sua gamma di situazioni imperfette e proprio per questo autentiche. Il bisogno di verità sta alimentando una nuova ondata di iper realismo e arriva a influenzare anche il modo di commercializzare i prodotti. Per vendere occorre sintonizzarsi sulle esperienze di vita comuni, su quei sentimenti intimi e allo stesso tempo universali.

L'esempio di Esselunga

A veicolare questa tendenza ci sono realtà apparentemente lontane da approcci poetici e narrativi. Il nuovo stile comunicativo di Esselunga dimostra come la catena di supermercati si presenti come luogo in cui creare connessioni tra le persone ed entrare nelle vite e sentimenti altrui, proprio attraverso i prodotti. Un approccio inaspettato che ha fatto rumore, soprattutto con il primo capitolo di questo nuovo stile comunicativo e pubblicitario.

La pesca è un cortometraggio che racconta in soggettiva la sofferenza vissuta dai figli di genitori separati ma anche la capacità riparativa che solo lo sguardo e la creatività dei bambini possono avere. Il frutto che la piccola protagonista compra per regalare, da parte della mamma, al papà diventa il simbolo di quella speranza che spesso continuano a nutrire le persone quando si trovano in situazioni di difficoltà o sofferenza. Siamo lontani anni luce dalle pubblicità vetrina, ossia quegli spazi che nel loro racconto fittizio sembrano esplicitare la natura commerciale. La pubblicità diventa una parentesi – inaspettata – che regala spaccati di realtà, mostrando situazioni che è possibile vivere nella quotidianità. Il prodotto diventa il mezzo per creare terreni di condivisione e non più solo il fine ultimo. Questo impianto narrativo sta continuando ad alimentare lo stile comunicativo della catena di supermercati. Il secondo capitolo del dittico di storie, entrambe dirette dal regista francese Rudi Rosenberg, è incentrato su un altro prodotto, che anche qui diventa l’espediente per raccontare di un sentimento intimo e universale, l’amicizia.

La noce è la storia di due amici d'infanzia e vicini di casa, Marta e Carlo. Quando la bambina è costretta a trasferirsi con la famiglia all’estero, regala all’amico una piccola noce, pegno del legame che li unisce. Al ritorno inaspettato di Marta, ecco l’happy ending accompagnato dal plot twist: la noce, piantata e coltivata da Carlo, ha dato vita a un albero, sotto cui i due si ritrovano sorridenti. Il claim finale «Non c’è una spesa che non sia importante» ci riporta alla dimensione pubblicitaria, proprio come succede nel primo capitolo “La pesca”.

In principio fu Woody

Non è la prima volta che le pubblicità abbandonano le vesti di mondi perfetti e fittizi e si trasformano in spioncini sui sentimenti più intimi e profondi. Spesso per facilitare la realizzazione di cortometraggi autentici, che diventano dei documentari della quotidianità, si ricorre alla direzione di registi cinematografici. All’inizio del nuovo millennio, superate le preoccupazioni per l’arrivo del nuovo secolo e il temuto Millenium Bug, Woody Allen dirige se stesso in un cortometraggio che racconta l’ansia del cambiamento. Un nevrotico Allen si aggira per le strade affollate di New York, affidando a una conversazione telefonica con il suo psicanalista tutte le sue preoccupazioni su un gene scoperto e che consentirebbe di vivere fino a 150 anni. Questa narrazione mette in scena le nevrosi iper contemporanee e lo fa con lo stile unico e ironico del regista Premio Oscar. Diventa uno spaccato su sentimenti e paure che capita di avere e solo alla fine capiamo che si tratta dello spot della rete mobile di Telecom Italia. «Il futuro non deve preoccupare - rassicura il claim - serve solo un aiuto professionale». La sceneggiatura è stata premiata dal Gran Galà della Pubblicità, una manifestazione che dal 1996 al 2005 ha celebrato i migliori spot con il “Mezzominuto d’oro”. 

Un’ironia ancora più sottile pervade un altro spot diretto da Allen negli anni Novanta, quello sulla catena di supermercati Coop. Il claim «la qualità è un’arte» viene preso alla lettera e diventa l’occasione per realizzare un’esposizione di arte contemporanea, con tanto di esperti che commentano le opere e le associano alle paure e speranze del tempo. Peccato che sotto le teche ci siano confezioni di carne macinata e bistecche.

Gli spot diventano a loro volta veri e propri film in miniatura, dall’elogio della bellezza e dei colori di Gucci Epilogue, il minuto e mezzo diretto dai fratelli D’Innocenzo, al ritmo incalzante del racconto che David Fincher ha creato per la Heineken, con protagonista Brad Pitt. I rigatoni Barilla diventano la scelta di una commensale tra piatti gourmet del ristorante di lusso che fa da scenografia dello spot diretto da Federico Fellini mentre gli spaghetti De Cecco sono il valore aggiunto del diretto da Ferzan Ozpetek, in un ristorante che affaccia sui monumenti di Roma.

Vetrina esplicita di prodotti da acquistare, stratagemmi per indurre bisogni inconsci, universo parallelo fatto di sorrisi e sentimenti plastici, finzione che interrompe il flusso di altri racconti, da saltare con lo zapping: oggi la pubblicità è anche un mezzo inaspettato per raccontare storie, un cantore di situazioni imperfette e quotidiane, lo specchio di sentimenti che riguardano tutti noi.