Dai rooftop ai bassifondi: come discriminano le città

Nel suo podcast, “New York orizzontale”, la giornalista Francesca Berardi racconta come esistano due dimensioni diverse della stessa metropoli, due New York, che si discriminano tra loro senza mai davvero incontrarsi: quella verticale, simbolo di ricchezza e potere, fatta di grattacieli e lussi, e quella orizzontale, che si sviluppa lungo i marciapiedi, dove si intrecciano storie di povertà e lotta quotidiana. Ma è necessario attraversare l’Atlantico per trovare questo contrasto o basta rimanere in Italia?
Tre anni fa ho deciso di lasciare il mio piccolo paese di origine: una scelta, tra l’altro, che non è stata presa a cuor leggero. A dire il vero non me ne sarei mai andato se non per la ricerca di prospettive lavorative migliori rispetto a quelle che avevo. Da quel momento ho cambiato già due città, prima Torino e ora Milano, due metropoli rispetto a quanto ero abituato. La prima elegante, quasi austera con quel profumo underground che ricorda le capitali del Nord Europa, adagiata tra il Po e le Alpi, ho sempre pensato che un po’ si camuffasse come se non volesse svelare la sua vera identità. La seconda veloce e rumorosa, con click di valigette che si chiudono e tacchi a spillo che corrono sulle scale mobili per raggiungere la metro. Milano ha il profumo dei soldi, di notti insonni, di party esclusivi, di trasgressione, di competizione ma anche di occasioni da prendere al volo.
In entrambe le città, ogni quartiere racconta una storia diversa. A Torino, ad esempio, basta allontanarsi dal centro per scoprire angoli dimenticati, dove l'eleganza della città sembra svanire, sostituita da palazzi vecchi e angusti. La sensazione è che ci sia sempre qualcosa che non torna, una sfumatura che non si riesce a cogliere in pieno. È come se la città, pur nella sua bellezza, fosse intrinsecamente divisa tra chi può permettersi di vivere la sua parte più splendida e chi, invece, deve arrangiarsi nei suoi margini.
Milano, da parte sua, amplifica questa dicotomia in modo esponenziale. La metropoli del business, dei grattacieli luccicanti e degli eventi mondani, ha un cuore pulsante che batte in modo quasi impietoso. Le zone più centrali, brulicanti di turisti e professionisti, sembrano vivere di un’energia che non conosce pausa. Ma se ci si sposta un po’, si scoprono quartieri che non sono riusciti a tenere il passo con il progresso. Le periferie, spesso dimenticate dal miraggio delle vetrine di Corso Vittorio Emanuele, raccontano una realtà che ha il sapore amaro della difficoltà. Qui, le case fatiscenti, i muri scrostati e le strade poco curate sembrano ribellarsi all’idea di una città che, in superficie, ha tutto per sembrare perfetta.

Eppure, è proprio in queste aree che si percepisce la vera essenza della città, quella che non ha paura di mostrare le sue cicatrici. Le periferie sono luoghi dove, paradossalmente, si concentrano le storie più autentiche, quelle che non hanno bisogno di essere addolcite da un filtro commerciale. Qui non si parla di storie da red carpet, ma di esperienze di vita quotidiana, di speranze che non sempre riescono a tradursi in realtà.
La discriminazione che si annida tra un quartiere e l’altro non è solo economica, ma anche culturale. Le città hanno il potere di creare e alimentare divisioni invisibili, rendendo difficile per chi vive ai margini farsi sentire o farsi vedere. La cultura dominante, quella che Milano celebra, premia chi sa muoversi rapidamente e con stile, chi riesce a fare della propria immagine una dichiarazione di successo. Ma cosa succede a chi non riesce a stare al passo? A chi preferisce una vita più semplice o non ha le stesse risorse per entrare nel gioco?
C'è chi si interroga su come superare queste disuguaglianze, su come dare a chi vive ai margini delle città non solo l'opportunità di un lavoro, ma anche quella di esprimere la propria dignità e di sentirsi parte di una comunità che li riconosce. Le disuguaglianze non sono soltanto un fatto di numeri, di redditi o di quartieri, ma anche una questione di percezione, di valore e di visibilità. Numeri, che, tra l’altro, parlano da soli.
Sia a Torino sia a Milano, sono molte le iniziative sociali e culturali che cercano di abbattere le barriere tra il centro e la periferia, mettendo al centro della discussione temi come la giustizia sociale, l'inclusione e la redistribuzione delle risorse. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. Progetti di rigenerazione urbana, che partono dalla valorizzazione dei quartieri più poveri, cercano di riattivare spazi vuoti, di dare nuova vita agli edifici abbandonati, trasformandoli in centri di aggregazione, biblioteche, scuole o laboratori di produzione. Iniziative che non sono solo un modo per "abbellire" un'area, ma per restituirle la sua anima, per ridare a chi vive lì la possibilità di essere parte di un cambiamento concreto. Esempi possono essere Mosso in via Padova a Milano, progetto nato proprio per riqualificare la zona, o l’Orto urbano del boschetto a Torino nord.

Non mancano, tuttavia, le difficoltà. Molto spesso, questi progetti si trovano a fare i conti con il crescente processo di gentrificazione, che rischia di spazzare via le comunità locali, sostituendo la povertà con il benessere dei più benestanti. Le periferie, purtroppo, non sono solo vittime di una separazione fisica dai centri cittadini, ma di un isolamento sociale che sembra inevitabile, che porta a una crescente disillusione. Come superare questa distanza invisibile che separa chi vive nel lusso da chi lotta ogni giorno per arrivare a fine mese? La risposta non è semplice.
Bisogna partire dalla consapevolezza collettiva: ognuno di noi, in un modo o nell'altro, contribuisce a questa divisione, anche quando sembra di non averne consapevolezza. Le scelte quotidiane, i consumi, le azioni politiche, la cultura che consumiamo: ogni singolo atto può perpetuare la divisione o, al contrario, contribuire a ridurla. Eppure, non basta solo il buon intento. La vera domanda è: come possiamo fare in modo che queste iniziative non siano solo soluzioni temporanee, ma possano garantire un cambiamento duraturo e che le due dimensioni, verticale e orizzontale, possano finalmente incontrarsi?